La rivoluzione sanitaria passa per il territorio
L’associazione infermieri di famiglia e comunità (aifec) è in prima linea nel diffondere la giusta consapevolezza su questa figura professionale
E se la rivoluzione della sanità passasse per la vicinanza ai territori e per l’assistenza direttamente nelle case degli italiani? C’è una figura che potrebbe rappresentare questo cambiamento: si tratta dell’infermiere di famiglia e di comunità, il cui compito è, insieme al medico di famiglia e agli altri attori delle cure primarie, fornire alle persone gli strumenti assistenziali utili per sostenere una malattia o una disabilità cronica direttamente sul territorio e nell’ambiente familiare. Un ruolo fondamentale di promozione e di tutela della salute dei cittadini, dunque. In prima linea per far conoscere questa figura c’è l’Associazione Infermieri di Famiglia e Comunità (AIFeC), guidata dal presidente Ginetto Menarello.
«L’associazione è nata nel 2009 grazie all’iniziativa di un gruppo di studenti di un master dell’Università di Torino dedicato al tema – spiega Menarello – l’obiettivo era, ed è tuttora, promuovere questa figura che in quel momento era sconosciuta o quasi, oltre a non essere prevista dai piani sanitari nazionali di allora». Lo scopo, dunque, era portare un’innovazione nella sanità italiana. Ma con una specifica: «Attualmente si parla di infermiere di famiglia “o” di comunità, ma è una concezione alla quale siamo contrari, preferendo usare la “e” per sottolineare che famiglia e comunità sono inscindibili».
Un’idea pioneristica
Questa tipologia di infermiere si è ritagliata un proprio spazio: «I primi anni dalla creazione dell’associazione sono stati pioneristici, perché non c’era un riscontro effettivo nel sistema italiano. Nel 2015 qualcosa si è messa in moto. Penso ad alcune esperienze importanti a Trieste, ancora attive, oppure un progetto europeo del Piemonte per sperimentare queste figure nelle aree interne, che ha attirato molto interesse». Poi è arrivata la pandemia: «Il Covid ha dato “una mano” nella sua tragicità a creare una nuova sensibilità sull’argomento, facendo capire che i sistemi territoriali facevano acqua da tutte le parti». Da qui la necessità di prevedere figure specifiche, come l’infermiere di famiglia e di comunità, per coadiuvare il sistema sanitario prendendo in carico le persone prima che emergano problemi di salute importanti. A luglio 2020 lo Stato ha istituito per legge questa figura, dando indicazioni alle regioni di attrezzarsi e collocarla sul territorio. «Le indicazioni, tuttavia, sono state generiche – chiarisce Menarello – ma è comunque un risultato importante nonostante le confusioni che ancora sussistono».
La situazione oggi
Come chiarisce il presidente di AIFeC, gli standard di riferimento oggi sono stati indicati: «I primi standard segnavano 8 infermieri di famiglia e di comunità ogni 50.000 abitanti, passati poi a 1 ogni 3.000 con il DM 77/2022». Per l’associazione, tale figura è un elemento chiave che nasce per prendersi cura di tutti i cittadini, di qualsiasi età e natura, mentre per Menarello «le indicazioni date sono orientate prevalentemente alla cronicità. Sicuramente è una priorità, ma auspico che si vada ad allargare lo spazio di azione di questa tipologia di infermiere. Per noi deve essere, invece, orientata a prevenzione e promozione della salute per tutti i cittadini in modo proattivo». Inoltre, sottolinea i problemi del settore: «In questo momento il sistema non è ancora strutturato, i numeri sono pochi, le priorità altre e le risorse poche. Mancano anche i professionisti e si stanno riducendo le iscrizioni. Su questo non mi sembra ci sia una ripresa. Adesso servono politiche serie che facciano appassionare e interessare i giovani verso queste professioni». Ma AIFeC dimostra che qualcosa sta cambiando: «L’associazione è cresciuta moltissimo, con professionisti che si uniscono a noi per promuovere questa figura e la propria carriera. Gli iscritti sono quintuplicati rispetto al 2009-2015 e si sono create realtà regionali con strutture consolidate, con l’esclusione per ora solo di alcune regioni del Sud. Di recente è stata inclusa la Campania, mentre si sta ragionando sulla Puglia. Tutto questo lo dobbiamo soprattutto alla presidente che mi ha preceduto, Paola Obbia, che ha retto in modo perfetto una sfida difficile».
Il nodo della formazione per un servizio essenziale
Per AIFeC non bastano le competenze di base, ma servono percorsi ad hoc
Il tema della formazione è particolarmente complesso e controverso quando si tratta di valutare l’impatto nei prossimi anni dell’infermiere di famiglia e di comunità. Non bastano le competenze di base, infatti, ma è necessario acquisirne di specifiche attraverso un percorso apposito. Per Ginetto Menarello, presidente dell’Associazione Infermieri di Famiglia e Comunità (AIFeC), «finora l’unico percorso universitario attivato è quello dei master, legati però alle singole iniziative degli atenei che potrebbero venire meno da un anno all’altro. Attualmente il possesso di un master è necessario per svolgere questa funzione e, per il resto, le capacità formative delle università sono molto basse». Le indicazioni, tuttavia, ci sono: «Le competenze sono descritte dal Position Statement della Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (FNOPI). Il problema riguarda il reperimento delle risorse e, qualora ci fossero, si pone la questione di formarle per raggiungere lo standard di un infermiere di famiglia e di comunità ogni 3.000 cittadini. Sono anni e anni di formazione da fare».
Il ruolo delle regioni
Il presidente dell’AIFeC si sofferma anche sul ruolo delle regioni sul versante formativo: «Nel contesto odierno le indicazioni richiedono che si attrezzino per creare dei corsi più brevi in maniera concordata con le università. Alcune regioni l’hanno fatto, ma la maggior parte no. Oppure sono stati messi in piedi corsi molto limitati, talvolta di una sola settimana, creando differenze tra contesti regionali con competenze diverse in base a dove ci si è formati. Un vero pasticcio». L’allarme lanciato da Menarello è che si sta delineando una formazione troppo disomogenea quando si tratta di questa figura di infermiere, che produce disuguaglianze.
Le specializzazioni
Alla complessa situazione legata alle regioni si aggiunge il dibattito molto acceso in corso sul futuro che aspetta le specializzazioni infermieristiche. «Dovrebbero rientrare tutte nell’ambito delle lauree magistrali con indirizzo specialistico – conclude Menarello – ma la questione è ancora in divenire. È probabile che a breve si comincerà a mettere in piedi questi percorsi formativi, che tuttavia creerebbero ulteriori differenziazioni. Da questo punto di vista, in AIFeC siamo impegnati ogni giorno nel far comprendere l’importanza di programmi ad hoc per l’infermiere di famiglia e di comunità. Noi ci siamo».